«Il ministero della Giustizia potrebbe barattare la vita della donna in cambio di favori»

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Bari | «Quattro giorni di carcere ingiustificabili. Lo stato risarcisca la donna saudita»

«Il ministero della Giustizia potrebbe barattare
la vita della donna in cambio di favori»

Se la «cortesia internazionale» può giustificare il ritorno di una donna
saudita nel suo paese d'origine in cui rischia la pena di morte

di Massimo Gianantonio

Il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri
Il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri

Qualche giorno fa si è detto che il nuovo Guardasigilli, Anna Maria Cancellieri, passata dal ministero dell’Interno del governo Monti a quello della Giustizia del governo Letta, abbia il merito di essere riuscita a far comunicare fra di loro le forze dell’ordine, Polizia e Carabinieri. Che in qualche modo, negli anni passati, avevano difficoltà nell’interagire fra di loro, nel comunicare. Sta di fatto che, l’episodio di Antonio e Layla è l’ennesima dimostrazione di come continui a mancare questa comunicazione interforze. Come sia possibile che raggiunta una caserma dei carabinieri e formalizzata una denuncia poi alla polizia si debbano delle spiegazioni sotto la «minaccia» di una pistola. In questa vicenda non ci meraviglia il ruolo dell’Arabia Saudita, che essendo un Paese conservatore, è già sotto la lente delle associazioni umanitarie. Ci fa pensare, piuttosto, il ruolo del ministero della Giustizia italiano che «non esclude» la possibilità di rimandare nel paese d’origine una signora moglie di un «italiano».

Questo passaggio è fondamentale. Mettiamo il caso, ipotetico, che questa donna non abbia alcun diritto, e possa essere barattata come una merce di scambio. Dall’altra parte, però, ci sono i diritti di un cittadino italiano, Antonio, il quale ha il diritto di vedersi riconosciuto lo status di famiglia, e di non essere diviso a forza dalla moglie, nel Paese in cui è nato, vive e lavora. Non vengono estradati personaggi come Battisti; ci sono i delinquenti seriali, quelli che si macchiano d’omicidio, grazie a indulti e robe varie, riescono dopo appena 3 o 4 anni ad essere di nuovo liberi. La misura cautelare restrittiva applicata dalla Corte d’Appello, ammesso e non concesso sia lo specchio esatto di quanto consentito dalla legge, non rappresenta uno Stato moderno e tutore della famiglia, che ci vantiamo tanto di tenere alla base del nostro modello sociale.

Si rende quindi necessario garantire alla famiglia di Antonio di restare unita e di vivere in una situazione di libertà e lontano dalla paura sul territorio italiano. C’è inoltre da dire che Layla a causa di tutte queste vicissitudini che si sono susseguite è caduta in uno stato di depressione, e seppur quattro giorni di carcere non siano tanti, aggiungendo l’ulteriore misura cautelare di sessanta giorni, si rende necessario un risarcimento in danaro per il sopruso accaduto nei confronti della loro famiglia. Un risarcimento «morale», che ha un valore simbolico. Si rendono inoltre necessari una risposta da parte del sindaco di Bari, dei presidenti della Camera e del Senato, che tanto in questi giorni fanno sfilate televisive parlando di «femminicidio» e «violenza sulle donne», ma ancora tardano a creare le condizioni di tutela della donna, una mancanza che sta portando a un’escalation di violenze.

Non vogliamo assolutamente immaginare quello che potrebbe succedere a una donna onesta, umile, rispettosa di tutti, colta, intelligente, che in parte è da considerarsi già italiana per aver sposato un italiano, possa essere spedita in un Paese in cui esiste la pena di morte, e l’Italia macchiarsi di un simile reato. Sappiamo bene come l’Arabia Saudita sia il paese che detiene un quarto della riserva petrolifera del mondo attualmente conosciuta. E come sia facile guadagnarsi la simpatia fra i due Paesi. Bisogna a tutti costi scongiurare che Layla diventi oggetto di un baratto fra potenti. C’è un libro scritto da Rajaa Al-Sanea, «Donne di Riad», nel quale la scrittrice racconta di quante donne muoiono suicide a causa della depressione in cui cadono perché costrette a sposare un uomo che non vogliono. Se l’Italia, da Bari, non vincerà questa battaglia, rischia di confermare quello che ormai (vedi la vicenda dei Marò) è sotto gli occhi di tutti. Di un Paese che ha perso il suo valore, che nel mondo conta sempre meno, che spesso salvaguarda i poteri forti a scapito dei cittadini.

Mercoledì 8 maggio 2013

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